Epilessia nel gatto: ecco tutto quello che devi sapere

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L’epilessia nel gatto è purtroppo un’evenienza possibile. In questo articolo cercherò di chiarirti quali potrebbero esserne le cause e come affrontarne la gestione .

Nell’articolo precedente, abbiamo parlato di epilessia nel cane (ti consiglio di leggerlo per meglio capire il contenuto di questo scritto).
Oggi vorrei affrontare lo stesso argomento nel gatto, dove la malattia può assumere sintomatologia simile ma che può, più spesso, essere confusa con problemi comportamentali più che neurologici.

Epilessia nel gatto

Abbiamo già detto che il termine epilessia rappresenta un termine generico che sta ad indicare una serie di sintomi neurologici, molto diversi tra di loro.
Nel gatto come nel cane le definizioni vengono distinte in base alle cause.

Epilessia nel gatto: definizione in base alle cause.

La classificazione e denominazione delle epilessie nel gatto sono :

  • epilessia idiopatica;
  • epilessia sintomatica o secondaria;
  • epilessia probabilmente sintomatica, o criptogenica;
  • attacchi epilettici reattivi. [1]

L’epilessia idiopatica nel gatto è la malattia che si manifesta senza alcuna patologia sottostante che la provochi.
Fino a qualche anno fa, tale occorrenza non veniva considerata possibile, pensando che solo una anomalia cerebrale strutturale potesse generare attacchi, ma recenti studi [2], hanno invece dato riscontro a casi di crisi convulsive riportabili ad epilessia, senza alcuna malattia.

Alla definizione di epilessia idiopatica quindi si arriva con lo stesso protocollo che porta a diagnosticare l’epilessia idiopatica nel cane, cioè escludendo qualunque altra causa.
Al momento non esistono test genetici specifici e quindi non è possibile dare una certezza di trasmissione in tal senso.

Anche l’epilessia secondaria è associabile a quella del cane, con cause diverse che possono essere riassunte nell’acronimo VITAMIN D. (Vedi articolo epilessia del cane)

Nel gatto gli attacchi epilettici reattivi sono quelli determinati da fattori tossici esogeni (intossicazioni) o endogeni, cioè provenienti da metaboliti interni all’organismo, che provocano comunque un danno cerebrale.

Infine la epilessia criptogenica è l’epilessia che, pur riscontrando un danno cerebrale non ha causa nota.

Sintomi di epilessia nel gatto.

Come nel cane,anche nel gatto si pensa esistano 4 fasi che caratterizzano una crisi epilettica, derivanti dalle osservazioni della stessa malattia umana dove,  il tracciato elettroencefalografico riesce meglio ad identificarne le caratteristiche.

E’ infatti vero che, nonostante siano stati fatti diversi studi sulla sua applicazione anche in ambito veterinario ed in particolare sui gatti, questi non sono riusciti a rendere davvero pratica la reale applicazione dell’EEG.[5]

Una crisi epilettica in un gatto si manifesta quindi in 4 fasi:

  • fase prodromica;
  • fase aurea;
  • fase ictale;
  • fase postictale.

Le prime due non sono distinguibili l’una dall’altra e possono durare da pochi secondi a qualche giorno, in cui il gatto può dimostrare cambi di carattere, ansietà, aggressività, cecità, scarsa attività, oppure ricerca compulsiva del proprietario.

La fase ictale è quella che definisce la sintomatologia eclatante, quella postictale è quella che, terminato l’attacco, lascia il gatto con segni diversi e che possono essere i più disparati: disorientamento, atassia (mancanza di voglia di muoversi), cecità, barcollamento, sordità, aggressività, aumento della fame e sete ed altri.

I sintomi degli attacchi epilettici nel gatto, possono essere anche molto violenti, e durare fino a 3 minuti.
La sintomatologia è riportabile, sia nella varietà che nella descrizione a quella del cane.

Nell’epilessia idiopatica sembra che ci sia una maggior incidenza di attacchi durante il sonno e che i gatti più frequentemente colpiti siano giovani adulti (1-4 anni).
Gli attacchi sono ben rispondenti a terapie antiepilettiche che recidivano però se vengono sospese.
Inoltre sono totalmente negativi a qualunque esame di controllo effettuato per la diagnosi.

Sintomi parossistici simil-epilettici.

Nel gatto, più che nel cane però esistono delle sintomatologie che potrebbero essere associate all’epilessia ma che spesso sono confuse o assimilabili a problemi comportamentali.
Ecco quindi che il lavoro del neurologo e del comportamentalista si integrano allorquando ci sono segni di aggressività idiopatica, senza motivo apparente, il rincorrersi la coda compulsivo, l’acchiappare le mosche per aria senza esserci ed altri comportamenti ossessivo-compulsivi o fobici.
Atteggiamenti che sono border line e che alcuni comportamentalisti sono riusci a mitigare anche con l’uso di fenobarbital, nonostante non ci fossero evidenze epilettiche.[3]

L’iter diagnostico per arrivare al pronunciamento certo di epilessia, di qualunque natura essa sia, necessita di tutti i controlli che abbiamo già descritto per l’epilessia nel cane:

  • accertamenti ematologici e sierologici, per escludere stati tossici, malattie metabolici, infiammatorie e infettive;
  • ecocardiografia, per eventuali malformazioni cardiache;
  • ecografia, patologie del pancreas e fegato;
  • esame del liquor per escludere infiammazioni ed infezioni a livello spinale;
  • tac e risonanza magnetica per encefalopatie e neoplasie, benigne o maligne.

Quando cominciare il trattamento antiepilettico?

Mentre nel cane non esistono evidenze scientifiche per cui un trattamento precoce o comunque con evidenza di una sola crisi, abbia riscontrato beneficio alcuno, nel gatto la questione è ancora aperta e piuttosto controversa.

In linea di massima non esiste un protocollo unico per tutti, ma si considerano le situazioni caso per caso.

Come spesso capita, dipende: dalla gravità dell’attacco, dal risultato delle analisi, dai sintomi propri della crisi.
Ed ancora, se ci sono controindicazioni alla terapia, dalla possibilità di tenere monitorato il soggetto ecc.

Un trattamento precoce a dosi importanti, potrebbe evitare il ripresentarsi di crisi refrattarie.

Anche nel gatto il trattamento potrebbe essere necessario per tutta la vita dell’animale e si considera possibile la diminuzione del dosaggio, se non ci sono recidive in un intervallo di minimo 6, fino a 24 mesi.

Il trattamento potrà essere diminuito in entità delle dosi, sempre e solo molto gradualmente.

Quali farmaci antiepilettici per i gatti

Nell’epilessia felina è il fenobarbital il farmaco più utilizzato e con i migliori risultati.
Anche il diazepam, una benzodiazepina, ha ottimi risultati nel gatto, a differenza del cane dove, non riesce a raggiungere livelli sierici ottimali per un tempo sufficientemente lungo.

Il bromuro di potassio ha evidenziato effetti collaterali quali attacchi asmatici, per cui non viene utilizzato.

Come nel cane, anche nel gatto il dosaggio dovrà essere raggiunto gradualmente effettuando un monitoraggio per verificare (in base anche alla risposta antiepilettica) il livello ematico, dopo 20 giorni dall’inizio del trattamento, meglio se fatto in due volte: una prima di aver preso la terapia ed una seconda a 4 ore dall’assunzione del farmaco.[4]

Questo consente di verificare che il dosaggio massimo raggiunto non sia troppo elevato o, al contrario, troppo basso.

Una volta raggiunta la dose corretta, si potranno effettuare controlli ogni sei mesi, insieme a monitoraggio della funzionalità epatica.

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  1. Thomas WBDewey CWSeizure and narcolepsy. In: Dewey CW, ed. A Practical Guide to Feline and Canine Neurology2nd edAmes, IA: Wiley-Blackwell; 2008:237259.
  2. Pakozdy ASarchachi Ali ALeschnik M, et al. Clinical comparison of primary versus secondary epilepsy in 125 catsJ Feline Med Surg 2010;12:910916.
  3. https://www.vetjournal.it/item/2575-epilessia-canina-e-felina-l-inizio-di-una-nuova-era.html
  4. https://www.vetjournal.it/item/2576-epilessia-gestire-una-terapia-prolungata.html
  5. Brauer CKästner RBSKulka MA, et al. Activation procedures in the electroencephalograms of healthy and epileptic cats under propofol anaesthesiaVet Rec2012;170:360365.